Oggi ho avuto il piacere di incontrare e conoscere Silvia Romani.
Silvia è insegnante e formatrice di yoga. È una persona particolarmente creativa, tanto da aver ideato un nuovo stile di Yoga fluido e dinamico che fonde āsana, mudrā, prānāyāma e la mitologia indiana.
Nel nostro piacevole incontro le ho chiesto di parlarci delle mudrā, una pratica tanto affascinante e misteriosa, quanto profonda, basata su particolari posizioni delle dita delle mani.
Silvia ci spiega che le nostre mani contengono un grande potere. Le mani possono curare ma anche ferire. Un solo tocco può smuovere emozioni e creare sensazioni intense. Le mudrā sono un modo per entrare in profonda risonanza con sé stessi. Sono un modo di comunicare verso il mondo che ci circonda, ma anche verso il proprio mondo interiore; sono strumenti di analisi e scoperta, che permettono di scavare e andare oltre la superficie delle emozioni.
Ogni mudrā ha un suo modo differente di lavorare: possiamo utilizzarle per ascoltare oppure possiamo utilizzarle per dirigere l’energia.
Silvia ci accompagna nella conoscenza delle mudrā raccontandoci il suo percorso alla scoperta di questi gesti: ” Le mudrā sono state, per lungo tempo, un oggetto misterioso per me. Provavo a mettermi seduta, occhi chiusi, ad aspettare che qualcosa succedesse, non sapendo bene neanche che cosa aspettarmi o cosa osservare. L’effetto promesso aveva un che di magico, e questo mi affascinava, ma era decisamente troppo “meccanico” e, per la mia mente, poco comprensibile. Trovavo continui legami e rimandi tra mudrā e problemi di salute, senza capire il “funzionamento” o la spiegazione. E’ vero che quando si fa un atto di fede si deve lasciar da parte la mente e seguire il cuore o la pancia, ma non succedeva nulla. Per diverso tempo, anni, lasciai questa parte dello yoga da parte, concentrandomi più sugli āsana e sul loro legame con i miti e i racconti della tradizione indiana. Fu proprio questa la porta che mi schiuse il mondo delle mudrā. Studiando le divinità e le statue che le rappresentano, cominciai ad imbattermi nella posizione delle mani, spesso ricorrente, spesso legata a concetti e simboli simili. Scoprii che, oltre alle poche mudrā che conoscevo per nome e che avevo provato a praticare senza successo, ne esistevano moltissime altre; alcune di queste avevano nomi che mi risuonavano in modo particolare. Nomi che mi erano già familiari, grazie allo studio che avevo condotto sugli āsana, le cui energie avevo già avuto modo di affrontare”.
Ma come funzionano le mudrā?
Le punte delle dita delle mani contengono numerosissime terminazioni nervose; queste sono dei punti di scambio energetico poiché attorno ad ogni punta delle dita esiste un’alta concentrazione di elettroni. Quando le punte delle dita toccano il palmo della mano, questa energia, invece di disperdersi, torna al corpo.
Ogni volta che eseguiamo una mudrā chiudiamo un circuito elettrico e l’energia circola senza disperdersi. Ogni mudrā dirige, attiva e potenzia questo flusso di energia. La punta delle dita ha una carica negativa, mentre quella del pollice ha una carica positiva. Ogni volta che un dito tocca la punta del pollice si chiude un circuito.
Il pollice è una sorta di interruttore del circuito che, a seconda di dove si posiziona, può aumentare o diminuire l’elemento del dito al quale viene appoggiato.
Ogni dito è collegato a un elemento: il pollice al fuoco, l’indice all’aria, il medio allo spazio, l’anulare alla terra e il mignolo all’acqua.
- Il fuoco ispira, solleva e rinvigorisce, dà confidenza e forza, è la forza interiore, aiuta l’assimilazione e la digestione, è dinamico.
- L’aria rappresenta il movimento e la mobilità, il risveglio mentale, la chiarezza, la visione, la gioia nel cuore.
- Lo spazio è la libertà interiore, la facilità e l’armonia, il non-giudizio e la lucidità.
- La terra radica, stabilizza, connette, nutre, supporta il corpo fisico.
- L’acqua è fluida, dona un senso di leggerezza, è collegata alla salute emotiva e ci permette di andare avanti nella vita.
Secondo lo Yoga Tattva Mudrā Vijnana, Agni, il fuoco, è considerato il motore volitivo delle nostre azioni ed è associato al concetto di tapas, o fuoco interiore, forza di volontà, che spesso sentiamo nominare relativamente alla pratica degli āsana, per cui il pollice ha diverse funzioni a seconda della posizione in cui si sistema:
- Aumenta l’energia – La punta del pollice tocca la base di un altro dito – Sistemare la punta del pollice alla base di un dito aumenta l’elemento ad esso associato.
- Abbassa l’energia – Il pollice copre un dito – Coprire un dito con il pollice diminuisce l’elemento ad esso associato.
- Equilibra le energie – La punta del pollice si unisce con la punta di un altro dito – Unire la punta del pollice con la punta di un altro dito porta in equilibrio i due elementi tra di loro.
- Lavora su emozioni o organi – Il pollice preme un altro dito lateralmente – a seconda del punto premuto si lavora su un’emozione e un organo precisi.
- Neutralizza un elemento – la punta di un dito è appoggiata alla base del pollice – L’elemento del dito abbassato viene neutralizzato.
Anjali mudrā
Seguendo questo schema e queste poche informazioni possiamo già cominciare a lavorare con le mudrā portando l’attenzione alle qualità degli elementi coinvolti.
Silvia ci invita a provare e osservare, in questa ottica, una delle mudrā più diffuse, conosciute e utilizzate: Anjali mudrā
In India viene usata per salutare, per onorare divinità, maestri e persone che si tengono in alta considerazione, portando le mani sopra la testa per i primi, davanti al viso per i secondi e davanti al petto per gli ultimi.
In sanscrito Anjali significa offrire o gesto di riverenza, saluto e deriva da anj, che significa onorare o celebrare.
E’ strettamente legata a Ksetrapala, signore delle fattorie, uno spirito locale particolarmente seguito nell’India del Sud. La sua statua si trova nei templi dedicati a Śiva in qualità di guardiano. Tenendo le mani unite all’altezza del plesso solare proviamo a portare la nostra attenzione allo spazio che si crea al centro dei palmi: uno spazio vuoto, pronto ad accogliere. Potremmo concettualmente paragonare questo spazio ad Ākāśa, lo spazio dove tutto può accadere, lo spazio delle possibilità.
Nel suo libro “Il nettare dello Yoga” Krisnamacharya descrive così questa mudrā: “ Questo gesto significa l’intenzione di progredire sul cammino spirituale. Quando è fatto correttamente i palmi delle mani non sono completamente uniti. I polpastrelli sono uniti, ma tra la la base delle dita e la parte centrale dei palmi delle mani c’è spazio che ricorda un fiore che ancora deve sbocciare e simboleggia l’apertura dei nostri cuori.”
Anjali mudrā è legata anche alla nascita di Patanjali. Pata in sanscrito significa caduto, mentre Anjali richiama la mudrā e il gesto che Gonika, la madre di Patanjali, faceva ogni volta che pregava il sole, manifestazione del divino sulla terra, per avere un figlio. Un giorno, sentendo qualcosa tra le mani, aprì gli occhi spaventata e si trovò tra le mani una creatura formata per metà da un bambino e per metà da un serpente. Si trattava di Adisesa, inviato sulla terra da Viṣṇu in risposta alle sue preghiere. La donna, purtroppo, avendo aperto troppo in fretta gli occhi bloccò la trasformazione di Adisesa in bambino.
Anjali mudrā
Tecnica: unire i palmi davanti al petto, mantenendo le dita morbide.
Tempo: da 5 a 45 minuti.
Benefici: calma e centra la mente, favorisce la connessione al proprio cuore e a Suṣumnā nāḍī. Come tutte le mudrā che uniscono i palmi porta equilibrio tra emisfero destro ed emisfero sinistro del cervello.
Grazie Silvia, ti aspettiamo presto con altre mudrā da conoscere e da praticare. Se sei interessato dal 6 al 12 Agosto, Silvia terrà un corso di “Formazione insegnanti Yoga per le emozioni”. Tutte le informazioni le trovi nei nostri Scelti Per Te
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